Un vaso in terracotta porta con sé porosità, inerzia termica e quel tipico colore caldo che dialoga con qualsiasi pianta; proprio la sua natura porosa, però, lo rende vulnerabile a urti e sbalzi di temperatura. Ripararlo con cura significa far rivivere l’oggetto senza alterarne la traspirazione, né introdurre sostanze che possano danneggiare le radici in futuro. La buona notizia è che le colle epossidiche moderne, formulate per aderire anche a superfici minerali umide, permettono incollaggi solidi e duraturi: una riparazione fatta correttamente spesso sopravvive all’uso quotidiano su balconi e giardini.
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Valutare l’entità del danno
Prima di tutto occorre capire se il vaso è fratturato in pochi grandi pezzi o se si è ridotto in una miriade di schegge; nel primo caso il recupero è alla portata del bricolage domestico, nel secondo conviene orientarsi verso soluzioni creative (per esempio trasformare i cocci in drenaggio per nuove piante). Crepe sottili che non si sono ancora trasformate in rotture complete possono essere sigillate dall’interno con resina fluida colata a siringa, mentre fratture nette richiedono un adesivo strutturale e morsetti o nastro di tenuta.
Scegliere l’adesivo giusto
La terracotta è un materiale minerale, leggermente alcalino e microporoso. Gli adesivi vinilici tradizionali funzionano solo in ambiente asciutto e, una volta bagnati, tendono a rammollirsi; perciò la scelta migliore resta la resina epossidica bicomponente, disponibile in siringhe premiscelate o in pasta modellabile. Prodotti come le classiche epossidiche “5 minuti” o le paste ripara‑tutto menzionate nei cataloghi Pattex garantiscono aderenza anche in presenza di porosità superficiale e resistenza all’acqua una volta polimerizzate. L’unica accortezza è dosare correttamente i due componenti: un rapporto sbilanciato rallenta o impedisce la polimerizzazione.
Pulizia e preparazione dei frammenti
L’adesione dipende dalla pulizia: ogni pezzo va lavato con acqua tiepida e spazzola morbida per eliminare polvere d’argilla, resti di terra o calcare, poi asciugato in forno tiepido (60 °C) per mezz’ora o lasciato al sole finché non rimane traccia di umidità. Se sui bordi si è formato un velo vetroso — tipico dei vasi smaltati parzialmente — una passata di carta abrasiva grana 120 crea micro‑rigature che migliorano l’ancoraggio della colla.
“Provare a secco”: il puzzle senza adesivo
Prima di mescolare l’epossidica vale la pena montare “a secco” i frammenti: come in un puzzle, i cocci vanno accostati sul piano di lavoro per verificare che non manchino schegge e che la sequenza di assemblaggio sia chiara. Questa operazione evita nervosismi quando il tempo utile d’incollaggio, di solito cinque‑dieci minuti, comincia a scorrere. Per pezzi spigolosi che non restano in piedi da soli, piccole strisce di nastro carta aiutano a mantenere i giunti in posizione provvisoria.
Preparare e applicare l’epossidica
Una volta pronta la sequenza, si spremono parti uguali di resina e indurente su un supporto non assorbente (vetro o carta forno), mescolandole con uno stecchino finché il colore risulta uniforme. Con la spatolina si stende un velo sottile su entrambe le facce della frattura, evitando accumuli che impedirebbero il perfetto combaciare. La raccomandazione degli artigiani del restauro — e dei manuali di kintsugi moderno — è di preferire uno strato il più sottile possibile, perché la forza dell’unione risiede nel contatto ceramica‑ceramica, non nello spessore di adesivo
Assemblaggio e messa in pressione
Dopo aver accostato i frammenti, una leggera pressione con le dita spinge fuori l’eccesso di colla; i pezzi vanno poi fissati in posizione per l’intero tempo di presa: elastici larghi, nastro carta ben teso o morsetti morbidi sono soluzioni ideali. Se la rottura attraversa il fondo del vaso, conviene appoggiarlo capovolto su un sacchetto di sabbia o uno straccio ripiegato in modo che il peso proprio non deformi il giunto. Le epossidiche “rapide” raggiungono la maneggiabilità in un’ora, ma per un vaso che dovrà affrontare gelo, sole e irrigazioni è prudente attendere ventiquattr’ore prima di togliere i fissaggi.
Riempire vuoti e micro‑schegge
Una volta consolidata la struttura principale, restano spesso piccole lacune o micro‑sbeccature. In mancanza di uno stucco professionale, la stessa epossidica può essere addensata con polvere di terracotta ricavata carteggiando un coccio di scarto: si ottiene così una pasta dello stesso colore che riempie i buchi senza staccarsi nel tempo. L’operazione si svolge con spatolina in acciaio, rimuovendo l’eccesso prima che indurisca; leggere carteggiature finali, a polimerizzazione avvenuta, rendono la superficie omogenea.
Sigillatura interna e prevenzione delle future rotture
La terracotta riparata rimane microporosa e può assorbire acqua attraverso la linea di colla; se il vaso starà all’aperto è consigliabile stendere all’interno una mano di vernice poliuretanica o gommalacca alimentare, avendo cura di non sigillare totalmente il foro di drenaggio. Per evitare che la frattura si riapra, è bene rialzare il contenitore dal suolo con piedini in pietra: il vaso asciugherà più in fretta dopo la pioggia e subirà meno sbalzi termici. In inverno, poi, basta spostarlo sotto una tettoia o svuotarlo di terra per evitare le dilatazioni da gelo che avevano provocato la rottura originale.